Nella giornata di ieri ho ricevuto molti messaggi con richieste di chiarimenti sul tema del lavoro a seguito dell’emanazione del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri contenente misure urgenti per contenere il contagio nella regione Lombardia e nelle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Pesaro e Urbino, Rimini, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia.

Vediamo, quindi, di fare un po’ di chiarezza.

Le disposizioni del provvedimento emesso hanno effetto dall’8 marzo 2020 fino al 3 aprile 2020, salve eventuali diverse previsioni contenute nelle singole misure.

L’articolo 1 del decreto impone di “evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori di cui al presente articolo, nonché all’interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute”: è quindi possibile spostarsi e uscire di casa per recarsi al lavoro – come ha chiarito lo stesso Presidente Conte nel corso della conferenza stampa di ieri – utilizzando però ogni possibile accorgimento per evitare la diffusione del virus.

Pur avendo mantenuto la sospensione dei servizi educativi, degli eventi sportivi e di tutte le manifestazioni organizzate, disponendo la chiusura di musei cinema, teatri, pub, palestre, scuole di  ballo,  sale  giochi, scommesse e bingo,  discoteche  e  locali  assimilati, è stata prevista l’apertura di altre attività commerciali.

In particolare, sono consentite le attività di ristorazione e bar dalle 6.00 alle 18.00, con obbligo, a carico del gestore, di predisporre le condizioni per garantire la possibilità del rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro, pena la sospensione dell’attività in caso di violazione.

Le altre attività commerciali potranno restare aperte a condizione che siano strutturate in modo tale da consentire il rispetto della distanza di sicurezza unipersonale di un metro e che il gestore garantisca l’accesso con modalità contingentate, idonee ad evitare assembramenti di persone e a consentire il rispetto della distanza di almeno un metro tra i visitatori, anche in questo caso pena la sospensione dell’attività in caso di violazione.

In generale, comunque, “si raccomanda ai datori di lavoro pubblici e privati di promuovere, durante il periodo di efficacia del presente decreto, la fruizione da parte dei lavoratori dipendenti dei periodi di congedo ordinario e di ferie, fermo restando quanto previsto dall’articolo 2, comma 1, lettera r)”.

In buona sostanza, i datori di lavoro sono invitati ad incentivare lo smartworking per tutti i lavoratori e anche in assenza di precedenti accordi individuali, ove chiaramente ve ne sia la possibilità.

Trattandosi di un invito, di una raccomandazione, non è possibile parlare di un vero e proprio obbligo del datore a concedere le misure indicate, in particolare per quelle attività non strutturate per la gestione del lavoro “da remoto”.
In ogni caso, si è chiesto espressamente ai datori di lavoro di promuovere la fruizione da parte dei propri dipendenti, di periodi di ferie e permessi specialmente per i casi in cui il telelavoro non possa essere attuato.

Benché le disposizioni per il contenimento dell’epidemia siano meno stringenti sul resto del territorio nazionale, l’articolo 2 del decreto contiene le medesime indicazioni in tema di smartworking e fruizione di ferie e congedi, anche per le altre zone di Italia.

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