La prestazione di lavoro abnorme determina il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale

Recentemente la Corte di Cassazione ha stabilito un principio giuridico molto importante in tema di lavoro straordinario.

Il caso affrontato riguardava un addetto alla vigilanza di una società, che per diversi anni aveva lavorato per un numero di ore di gran lunga superiore rispetto a quelle previste per legge e dal Contratto Collettivo di riferimento.

Tutto ciò senza percepire l’esatta retribuzione per il lavoro svolto e senza neppure recuperare il riposo settimanale.

Ebbene, la Suprema Corte ha ritenuto che una simile situazione, protratta per diversi anni, è suscettibile di cagionare al lavoratore “un danno da usura psico fisica, di natura non patrimoniale e distinto da quello biologico” la cui esistenza sarebbe presunta in quanto derivante dalla lesione del diritto sancito dall’art. 36 della Costituzione, in base al quale il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque sufficiente ad assicurare a sé e alla propria famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

La Corte ha, inoltre, escluso la sussistenza di concorso colposo per l’ipotesi in cui sia stato il lavoratore a chiedere espressamente di effettuare prestazioni di lavoro straordinario oltre i limiti consentiti, richiamando in tal senso la sussistenza di un obbligo – disciplinato dall’art. 2087 c.c. – per il datore di lavoro di tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei propri dipendenti.

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