Può capitare talvolta che licenziamenti apparentemente fondati su motivi oggettivi o economici, celino in verità motivazioni ben più profonde e completamente estranee all’andamento dell’azienda o alla organizzazione dell’impresa.


A volte ci troviamo di fronte a datori di lavoro che senza troppi scrupoli tentano di sfruttare a proprio favore alcune vicissitudini aziendali per “eliminare” un dipendente non più gradito.


Questo è ciò che è accaduto anche ad un Cliente del nostro studio, (ormai ex) dipendente di una importante società di digital marketing.


La società, facendo leva su una situazione economica aziendale certamente non florida, in quanto era stata da poco ammessa alla procedura di concordato preventivo, ha licenziato il lavoratore giustificando la scelta con la “soppressione delle mansioni” di cui al contratto di lavoro.


Inutile dire che abbiamo impugnato il licenziamento nei termini di legge e successivamente abbiamo presentato ricorso con rito Fornero al Tribunale del Lavoro di Milano chiedendo l’accertamento del carattere ritorsivo del licenziamento intimato.


Secondo la giurisprudenza, il licenziamento ritorsivo “ha consistenza soggettiva e personale, risultando determinato da ragioni vendicative, quale frutto di tensioni ed ostilità nei confronti del singolo, con portata eziologica esclusiva” (Trib. Milano, n. 3333/2019).


Anche la Corte di Cassazione ha chiarito che deve considerarsi ritorsivo il licenziamento deciso dal datore di lavoro per meri motivi di rappresaglia, come reazione nei confronti di una richiesta legittima del lavoratore (Cass., n. 13607/2017), qualificandosi la ragione del provvedimento espulsivo essenzialmente di natura vendicativa (Cass., n. 6282/2011 e Trib. Milano, n. 1436/2016).


La nostra tesi si basava su molteplici circostanze, che abbiamo dimostrato grazie a un’importante produzione documentale e alla testimonianza di alcuni ex colleghi.


Più precisamente, nel corso del giudizio è emerso in modo lampante:

  • che il dipendente svolgeva ormai da anni mansioni ulteriori e diverse da quelle per cui era stato assunto
  • che le mansioni individuate come soppresse, in realtà, erano state assegnate ad un altro collaboratore neo assunto
  • che nei mesi antecedenti il licenziamento vi erano stati molti screzi tra il dipendente e il titolare, a causa delle numerose richieste avanzate dal lavoratore in merito al mancato pagamento degli stipendi e al taglio improvviso dei benefits contrattualmente assegnati
  • che, a partire da quel momento, il titolare aveva escluso il dipendente da molte attività aziendali spogliandolo anche di progetti che aveva sempre curato direttamente e con assoluta autonomia.

Con una interessante e articolata ordinanza pubblicata nel mese di dicembre 2020, il Giudice del Lavoro di Milano ha dichiarato illegittimo il licenziamento perché ritorsivo e ha accertato il conseguente diritto del lavoratore alla reintegrazione nel posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno pari alle retribuzioni perse dalla data del licenziamento all’effettiva reintegra.


In particolare, il Giudice ha osservato che:

  •   alla luce delle mansioni effettivamente disimpegnate dal ricorrente ed emerse dall’istruttoria, è ravvisabile un evidente difetto di causalità nella lettera di licenziamento, atteso che la soppressione del posto ivi indicato risulta irrilevante rispetto a quello ricoperto in concreto
  •   non essendo stata fornita dal soggetto onerato prova delle ragioni poste a fondamento del licenziamento e del nesso di causa tra la evocata difficile situazione aziendale e la soppressione della posizione lavorativa del ricorrente (insussistente per quanto comunque visto), vi è comunque prova diretta della manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento atteso che la posizione lavorativa del lavoratore non è stata certamente soppressa ma affidata ad altra risorsa, peraltro assunta successivamente e poche settimane prima del licenziamento

Quanto al carattere ritorsivo del licenziamento, la cui prova grava sul lavoratore, ha ritenuto che:

  • il ricorrente abbia fornito una articolata serie di elementi gravi, precisi e assolutamente concordanti circa l’effettiva illiceità del motivo sotteso al suo licenziamento da cui emerge una chiara criticità nei rapporti tra il lavoratore e l’azienda soprattutto negli ultimi mesi del rapporto, dopo l’iscrizione al sindacato del lavoratore
  • la società abbia posto in essere condotte volte chiaramente a pregiudicare la posizione del lavoratore (arrivando ad assumere una nuova risorsa che di fatto assommava già all’epoca talune delle attività del ricorrente per poi prenderne definitivamente il posto)
  • risulta evidente che la convenuta abbia deciso di allontanare il ricorrente non già per ragioni economiche o organizzative ma al contrario per un motivo illecito ovvero l’attività sindacale (ragionevolmente anche per reazione di fronte al fatto che il ricorrente si attivava per coinvolgere altri colleghi) e in forza dell’intervento del suo avvocato, finalizzato, peraltro, a far valere legittime ragioni di doglianza.

Insomma, il Tribunale ci ha dato pienamente ragione ritenendo integrati tutti gli elementi per ritenere nullo il licenziamento perché intimato per rappresaglia.


Un importante successo per lo Studio e, soprattutto, per il lavoratore ingiustamente licenziato.

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