Rifiuto della lettera di licenziamento da parte del lavoratore

Il licenziamento rappresenta una fase molto delicata nel rapporto tra datore di lavoro e lavoratore, per questa ragione il Legislatore stabilisce una serie precisa di tutele, in primis per quanto riguarda la modalità di comunicazione del recesso dal rapporto di lavoro.

Innanzitutto, il licenziamento deve essere comunicato per iscritto: il datore di lavoro è tenuto a inviare al dipendente una comunicazione scritta specificando i motivi che hanno portato a una simile determinazione. Il mancato rispetto di questa prescrizione rende illegittimo il licenziamento del lavoratore e, in particolare, la mancanza della forma scritta determina la nullità del recesso.

Per questo motivo, oltre alla classica raccomandata con ricevuta di ritorno, la modalità più utilizzata da aziende e professionisti per procedere con il licenziamento del proprio dipendente consiste nel consegnare a mano la lettera di licenziamento e conservarne una copia firmata “per presa visione” o per ricevuta.

E se il lavoratore rifiuta la lettera di licenziamento?

Non esistono disposizioni specifiche per questa evenienza, pertanto occorre affidarsi alle decisioni dei giudici. La giurisprudenza ha chiarito che “in tema di consegna dell’atto di licenziamento nell’ambito del luogo di lavoro, il rifiuto del destinatario di riceverlo non esclude che la comunicazione debba ritenersi regolarmente avvenuta, trattandosi di un atto unilaterale recettizio che non sfugge al principio generale per cui il rifiuto della prestazione da parte del destinatario non può risolversi a danno dell’obbligato, ed alla regola della presunzione di conoscenza dell’atto desumibile dall’art. 1335 c.c.” (Cassazione n. 20272/2009 e n. 12571/1999).

Di conseguenza, la questione si concentra sul dimostrare l’avvenuta comunicazione, fermo restando che essa spetta sempre al datore di lavoro. A questo proposito, la Suprema Corte ha ritenuto valida la testimonianza relativa alla consegna a mani della lettera e il rifiuto del lavoratore di riceverla. Pertanto, la comunicazione scritta di licenziamento può essere consegnata al destinatario tramite persona incaricata dal datore di lavoro, che potrà poi essere assunta come teste nell’eventuale giudizio di impugnazione al fine di provare l’avvenuta consegna (Cassazione n. 7390/2013, n. 14825/2000, n. 1027/1997). Alla luce di ciò, nel timore che il dipendente possa rifiutarsi di ricevere una lettera di licenziamento, il datore di lavoro può predisporre in calce al documento anche una sottoscrizione di un altro dipendente che attesti l’avvenuta consegna.

Negli anni più recenti, la giurisprudenza ha ampliato la portata dei principi appena illustrati, riconoscendo come valide le modalità di comunicazione del licenziamento tramite e-mail (Cassazione n. 29753/2017) oppure messaggio WhatsApp (Tribunale di Catania, 27/06/2017). Il requisito della notifica per iscritto deve infatti ritenersi assolto con qualunque modalità che comporti la trasmissione al destinatario del documento scritto, purché la volontà di licenziare sia esplicita e riconducibile al datore di lavoro e sempre a patto che ne sia dimostrata l’effettiva ricezione da parte del destinatario.

Infine, nel caso in cui la lettera di licenziamento sia inviata tramite raccomandata a/r, tale comunicazione si presume conosciuta dal destinatario nel momento in cui è recapitata all’indirizzo dichiarato dal dipendente e non nel momento in cui ne prende effettiva conoscenza. Qualora il lavoratore risulti assente presso il domicilio segnalato al datore di lavoro, il licenziamento è da ritenersi pervenuto “alla data in cui è rilasciato il relativo avviso di giacenza presso l’ufficio postale” (Tribunale di Vicenza, 29/12/2020) o decorsi dieci giorni dall’avviso, in caso di mancato ritiro della comunicazione.

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