Videosorveglianza condominiale: che valore hanno le riprese?
Oggigiorno molti condomìni si avvalgono dell’installazione di sistemi di videosorveglianza per tutelare la sicurezza dei condomini e delle loro famiglie e preservare i beni e le parti comuni dell’edificio (ad esempio il cortile, l’androne, le scale, ecc.).
Questa possibilità è prevista dal nuovo articolo 1122 ter del Codice Civile, introdotto con la Riforma del condominio attuata nel 2012.
La norma in questione stabilisce la liceità della decisione del condominio di installare impianti di videosorveglianza, che dovrà essere adottata dall’Assemblea con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio, visto il richiamo del secondo comma dell’art. 1136 c.c..
Nel momento in cui l’Assemblea condominiale approva l’installazione di telecamere per il controllo delle aree comuni, per la relativa applicazione devono essere rispettati degli obblighi per non incorrere in sanzioni legate alla violazione della privacy altrui.
I più rilevanti sono i seguenti:
segnalazione della presenza dell’impianto di videosorveglianza condomini con appositi cartelli;
conservazione delle registrazioni per un periodo non superiore alle 24-48 ore;
ripresa esclusiva delle aree comuni (accessi, garage, ecc.), evitando i luoghi circostanti e i particolari non rilevanti come strade, esercizi commerciali o altri edifici;
protezione dei dati raccolti con idonee e preventive misure di sicurezza che ne consentano l’accesso alle sole persone autorizzate (titolare, responsabile o incaricato del trattamento dei dati) secondo le indicazioni dettate dal Codice della Privacy e dal provvedimento generale del Garante in tema di videosorveglianza.
Titolare del trattamento dei dati personali sarà, ovviamente, l’Amministratore del condominio, in qualità di rappresentante legale dello stesso.
Ma che valore probatorio hanno le riprese delle videocamere condominiali? E fino a che punto sono utilizzabili nell’ambito di un procedimento giudiziario?
Sulla questione, la giurisprudenza è unanime nel ritenere le riprese video effettuate in ambito condominiale quali mezzi di prova legittimi che possono essere utilizzati in sede processuale.
Addirittura, in una sentenza del 2013 la Corte di Cassazione ha precisato che le videoregistrazioni costituiscono una prova documentale, la cui acquisizione è assolutamente consentita, “essendo inoltre irrilevante che siano state rispettate o meno le istruzioni del Garante per la protezione dei dati personali, poiché la relativa disciplina non costituisce sbarramento all’esercizio dell’azione penale” (Cass. Pen, 7 giugno 2013, n. 28554).
Ancora più di recente, con la sentenza n. 32544 del 19 novembre 2020, la Suprema Corte ha ritenuto che le registrazioni delle aree comuni di un edificio possano essere utilizzate in sede penale per dimostrare la commissione di reati all’interno dell’area condominiale condominio.
Per i giudici infatti, le registrazioni video e audio effettuate tramite telecamere installate dai privati per esigenze di sicurezza delle parti comuni di edifici condominiali, non possono essere assimilate quanto ai presupposti di ammissibilità, alle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, effettuate dalla polizia giudiziaria.
Al contrario, i fotogrammi estrapolati dai suddetti filmati possono essere acquisiti come documenti ai sensi dell’art. 234 c.p.p. ed essere considerati dei validi elementi di prova.
Nessun dubbio, quindi, sulla loro utilizzabilità, purché ovviamente siano rispettose dell’inviolabilità della proprietà privata.
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