La Fase 2 del periodo emergenziale, cominciata lo scorso 4 maggio, ha imposto ad aziende e professionisti di adottare opportune misure di sicurezza volte ad evitare il contagio da Coronavirus.

Le norme per poter riaprire sono piuttosto rigide e prevedono l’adozione di specifici protocolli, necessari per tutelare i propri clienti ma soprattutto i lavoratori dipendenti.

Infatti, in base all’art. 2087 del Codice Civile, l’imprenditore è tenuto ad adottare tutte le misure e le cautele per garantire la salute, intesa come integrità fisica e personalità morale, dei prestatori di lavoro.

Ne consegue che, nel caso in cui un dipendente dovesse ammalarsi di Covid-19 durante lo svolgimento dell’attività lavorativa, il datore di lavoro può essere ritenuto responsabile se non ha adottato tutte le misure prescritte dalla legge.

Ma vediamo come deve essere gestita l’infezione da Coronavirus in ambito lavorativo, e in particolare qual è la tutela apprestata.

L’art. 42 del D.L. n. 18 del 17/3/2020 stabilisce che “nei casi accertati di infezione da coronavirus in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’INAIL che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell’infortunato”.

La causa virulenta dell’infezione da Coronavirus viene quindi equiparata alla causa violenta e inquadrata, sotto il profilo giuridico e assicurativo, alla categoria degli infortuni.

La tutela INAIL riguarda tutti i lavoratori dipendenti e assimilati ed è ammessa ogniqualvolta sia accertata la correlazione tra infezione e lavoro.

Sono state però effettuate delle distinzioni in merito alle modalità di riconoscimento dell’infortunio, a seconda del tipo di lavoro svolto e della conseguente esposizione al rischio di contagio.

Per le professioni esposte ad un elevato rischio di contagio è stata stabilita una “presunzione di esposizione”, proprio per l’alta probabilità di contagio.

Ci riferiamo in particolare agli operatori sanitari e, in generale, a tutte quelle attività lavorative che prevedono un costante contatto con l’utenza (ad esempio personale non sanitario che lavora in ospedale, addetti alle vendite, addetti cassa, addetti al front office, che abbiano un contatto diretto con il pubblico).

In questi casi, nell’ipotesi di infezione, si presume automaticamente che la stessa sia avvenuta in occasione di lavoro.

Per tutte le altre categorie di lavoratori la tutela ovviamente non è negata, ma scatterà solo a seguito di accertamento medico-legale, secondo la procedura ordinaria.

Come specificamente indicato nella lettera della norma, nei casi accertati di infezione, il datore di lavoro dovrà procedere con la denuncia di infortunio e il medico certificatore dovrà inoltrare all’INAIL il relativo certificato, in cui andrà indicata la data di astensione dal lavoro per quarantena o isolamento domiciliare, perché è da questo momento che decorrerà la copertura assicurativa, valida per tutto il periodo di inabilità temporanea assoluta al lavoro.

Per tutti quei casi in cui non vi sia una diagnosi certa di infezione da Covid-19, invece, il periodo di sorveglianza sanitaria con isolamento fiduciario rientra nella competenza INPS, come malattia.

Vale la pena di ricordare, infine, che la tutela assicurativa opera altresì per l’ipotesi di c.d. infortunio in itinere, pertanto è prevista la copertura anche per l’infezione contratta durante il percorso di andata e ritorno tra abitazione e luogo di lavoro, per il cui accertamento occorrerà valutare elementi come il percorso effettuato e la tipologia di mezzi utilizzati.

13 maggio 2020

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